L’etichetta si fa bella

Quante volte ci è capitato di rimanere disorientati davanti agli scaffali di un’enoteca, di un ipermercato, osservando centinaia di bottiglie senza avere idea di quale acquistare? Spesso la scelta finisce col ricadere su vini che già conosciamo, che abbiamo già bevuto e apprezzato, o su vini di cantine rinomate per la qualità dei loro prodotti, ma quando abbiamo voglia di provare qualcosa di nuovo, di scoprire, di osare, ci facciamo sicuramente guidare dalla bottiglia che ci intriga di più.

Sono sempre più, infatti, le aziende vitivinicole che negli ultimi anni stanno procedendo ad un restyling del proprio packaging, a testimonianza di come il mercato del vino si stia adeguando alle esigenze di una clientela molto più attenta all’immagine e dedita al culto del bello. A dispetto della qualità del prodotto, del lavoro in vigna ed in cantina, se l’etichetta non piace il vino rischia di non vendersi e così quel piccolo ritaglio di carta incollato alla bottiglia può decretare il successo o l’insuccesso di tutta un’annata di produzione.

Nate per dare risalto al contenuto – le prime vere etichette risalgono al 1750 scritte a mano per Moët&Chandon – con l’invenzione della litografia si diffondono rapidamente in tutta Europa con modelli sempre più belli e sontuosi rappresentanti stemmi, effigi, ghirigori e corone. Un tempo austere e ricercate, dagli anni ’40-’50 diventano via via vere immagini pubblicitarie, sdoganate dai canoni di sobrietà e più complete anche nelle informazioni fornite.

Se da un punto di vista delle indicazioni da riportare ci si deve scrupolosamente attenere a quanto disposto da normative nazionali e comunitarie sempre più rigide, è sui nomi, sui loghi, sulle immagini e sui colori che si gioca tutta la battaglia commerciale dei brand, lì dove fantasia e creatività possono essere finalmente sbrigliate.

L’etichetta deve sì rappresentare l’identità di una cantina, la sua anima, la sua mission, ma deve soprattutto catturare l’attenzione del cliente, rendere quel vino desiderabile ai suoi occhi, dargli un’idea sul suo posizionamento in una certa fascia di mercato e di prezzo e indurlo all’acquisto. Ogni etichetta, quindi, sarà ideata anche in funzione del tipo di target da raggiungere.

Come riferito da Claudio Sisto, direttore tecnico e amministratore della cantina-museo Albea di Alberobello, “l’esigenza di raggiungere i mercati nazionali ed internazionali con un nuovo appeal, più moderno, fresco e giovanile, ha portato ad una scelta diversa di packaging per la linea di vini “Due Trulli” inserita nel progetto “Albealand” di tutela e sviluppo dei vitigni autoctoni. Ci siamo rivolti ad un’artista conterranea, Francesca Cosanti, che ha dipinto immagini rappresentanti scorci di vita nella bellissima Puglia. La bottiglia ha assunto una forma più bassa e tozza a raffigurare il trullo, simbolo della Valle d’Itria e patrimonio UNESCO, e il pinnacolo in etichetta rappresenta una finestra: una finestra sull’immagine, una finestra su un’emozione che ha i colori e i volti sorridenti della nostra terra perché all’estero si ha voglia di questo, di tradizioni e sapori locali e autentici”.

L’etichetta, con la sua tipologia di carta, le sue forme e i suoi disegni (a volte sin troppo arditi) è diventata, quindi, una protagonista indiscussa del mondo del vino: oltre che soddisfare il palato del consumatore, bisogna soddisfarne anche il gusto estetico. E dall’incontro dell’arte con il vino non può che nascere un momento sublime, un ritaglio perfetto.

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